martedì 17 giugno 2014

È stato il marito, è stato il padre. È stata la libertà di un uomo

Per lungo tempo la violenza perpetrata in famiglia e dalla famiglia è stata dissimulata, trattata come un’anomalia di un istituto che di per sé protegge. Un istituto che protegge e che se non lo fa, si è pensato e si pensa, è per errori e manchevolezze delle donne, spesso vittime. In questo impianto culturale nelle separazioni tra donne e uomini esplode l’ineguaglianza profondamente voluta e coltivata nel nostro sistema: la prospettiva dell’annientamento è la minaccia immanente sull’esistenza femminile sia che le donne lascino, sia che vengano lasciate da un uomo.
L’uomo che ha ucciso la moglie e i figli per riconquistare la sua libertà ha mostrato nel modo più incontrovertibile che nella libertà degli uomini non c’è spazio per quella delle donne, e che anzi la loro libertà esclude quella delle donne. Lasciare una donna, che sia quest’ultima favorevole o no alla separazione, rappresenta, di fatto, la liberazione dei suoi gesti e l’impossibilità di condizionarli.
Una donna non controllabile, perché “socialmente dalla parte della ragione”, essendo lasciata da un adultero, è stata soppressa perché non poteva essere annientata sotto il peso di qualche colpa. Sono stati soppressi i suoi bambini in una situazione che getta luce su tutte le donne violentate, maltrattate, annichilite dai ricatti e qualche volta, rispetto all’incredibile mole di violenze sessuate perpetrate ogni giorno, uccise.
Le donne uccise dagli uomini sono comunque tante, e mentre ne muore una in famiglia, almeno un’altra muore nel magma indistinto di quella che è tratta nel nostro paese, e ancora almeno un’altra muore per mano ignota, perché non riconducibile “a moventi passionali”.
Ogni vittima rappresenta un pezzo di futuro sottratto al mondo, Cristina e i suoi figli non dovevano essere uccisi, e il dolore non può essere più grande perché a farlo è stato il marito. Non saremo noi a dire che è più grave essere uccise dal marito o dall’ex, non saremo noi a tollerare che le vittime uccise e vessate perché donne, vengano messe su piani differenti. Ammettere aggravanti sarebbe ammettere che esistono attenuanti, fuori e dentro i tribunali. I rapporti di fiducia non sono solo quelli familiari e non sempre quelli familiari sono di fiducia, spesso sono di potere. Come sul lavoro e a scuola, come nelle amicizie, dove ugualmente le donne trovano ricatti, violenza e morte. Il problema sempre viene spostato e dissimulato dividendo le donne per categorie. Se vogliamo chiamarlo problema. Noi lo chiamiamo femminicidio in tutti i suoi gradi ed espressioni formali: si tratta di sterminio cadenzato, di una forma di controllo sistematico sulla demografia politica e civile.
Il dolore che sentiamo per i bambini uccisi è tanto lacerante quanto forte è la certezza che la nostra prole non sarà mai al sicuro in un mondo che continua a tollerare e prevedere la nostra morte come strumento di mantenimento dell’ordine gerarchico. I bambini non sono al sicuro nei posti così detti sicuri: il nostro stato tollera ancora che violentatori e ladri di innocenza vengano sanzionati per via privata, tollera e si accontenta delle promesse di altri capi, delle cui affermazioni attendiamo ancora l’esito.
Non sappiamo cosa il governo e le amministrazioni intendano fare di fronte all’ennesima riprova che il nostro sistema vive secondo il canone di una libertà maschile che esclude quella delle donne. Sappiamo che gli impulsi che le nostre madri ci hanno insegnato a riconoscere vengono oggi nominati nei tribunali a discolpa degli assassini, nella conclamata impossibilità di tirare in ballo la follia. Sappiamo che di nuovo la vita delle vittime viene infangata e vilipesa. Sappiamo che i fondi per l’antiviolenza vengono sperperati, non di rado assegnati a mediatori religiosi e no che per incapacità politica rimandano le donne e i bambini verso i loro aguzzini, perché il loro obiettivo è salvare la famiglia perdendo di vista le persone. Tutto questo mentre nelle sedi della responsabilità pubblica si producono solo lacrime e “mea culpa”. Tutto questo mentre l’informazione usa il femminicidio come esercizio intellettuale.
Noi andiamo avanti con gli occhi bene aperti, bene attente alla verità delle cose: gli inganni e le promesse hanno mascherato e reso più insidiose le armi che hanno ucciso Cristina Omes e ai suoi figli.
Stefania Cantatore, per l'UDI di Napoli"
Napoli, 17/06/2014